Spesso si dice che viaggiare aiuti a svuotare la mente. Antonia, invece, la mente l’ha dovuta svuotare prima della partenza. Liberarla di tutti gli impegni quotidiani, i pensieri, i timori. Una tabula rasa, un libro fatto di pagine bianche da riscrivere. Ma a partire da se stessa, per una volta.
Se nella precedente intervista a parlare era una mamma viaggiatrice, in questo caso Antonia è più “figlia”, in quella fase della vita in cui il ruolo genitori-figli si inverte, e sono più i secondi prendersi cura dei primi che viceversa. E nel bagaglio di Antonia non c’è solo una mamma da accudire, che lascia sempre più andare i ricordi, ci sono una separazione abbastanza recente alle spalle, la ricerca di un lavoro e una patologia che limita le sue forze ed energie. Ma sulla copertina del libro, Antonia vuole scrivere il suo nome.
Un viaggio che possa essere spirituale, ma anche avventuroso, è sicuramente il giusto punto di partenza. Proprio come i suoi colori del cuore, che uniscono la tranquillità del verde-natura all’energia, la vitalità del più passionale rosso.
Prima di conoscere Destinazione Umana ho sempre fatto crociere. Il mio viaggio ideale era quello che poteva darti un costante punto di appoggio comodo. Adesso cerco anche l’avventura, un viaggio che mi faccia sentire viva! Il Marocco non è stato solo un viaggio, ma un’esperienza di vita.

Ok, ho spoilerato alla grande la meta che Antonia ha scelto. Ma quello che non sapete è che, prima di imbattersi in Destinazione Umana, stava organizzando tutto per andare in Turchia. Quella con il Marocco è stata una specie di chiamata. Sarà stato l’Universo, o il più banale algoritmo di Instagram, saranno stati i video di Silvia che parlava della Calabria in cui Antonia stessa abita, sarà stato il contagioso sorriso di Erika, la guida che avrebbe portato le viaggiatrici in terra marocchina. Ma questa specifica meta l’ha definita “una scelta naturale”.
E pensare che la spaventa, in genere, andare da sola anche in una città più grande del paese in cui abita, che la vedeva davvero complicata da un punto di vista logistico, e che il pensiero della gestione di sua madre pesava tanto. Per non parlare della paura di non farcela, il timore di rallentare le altre viaggiatrici, soprattutto, a causa della sua patologia. Ma il Marocco chiamava. Era la sua Destinazione.
Avevo il desiderio di scoprire me stessa, di conoscere anche i miei limiti, sia fisici che mentali, di confrontarmi con le mie paure. Ho sempre pensato prima agli altri che a me stessa. Era arrivato il momento di pensare a me. E poi, se non avessi provato, non avrei mai saputo se fossi stata in grado di farcela oppure no.
Ed è questo il punto in cui Antonia ha svuotato la sua mente, svuotato se stessa, per potersi riempire solo di quello di cui aveva realmente bisogno. Proprio perché da sola, senza nessuno che conosceva, e attraverso il camminare, ha potuto riflettere sulle sue passioni, sui suoi obiettivi, e riempire la mente solo di cose positive.
Sono partita svuotata, sono tornata con un nuovo modo di pensare, con la consapevolezza di chi sono io e con la carica di cui avevo bisogno. Ho la mente piena di idee e non importa se riuscirò a metterle tutte in pratica o meno. So che la quotidianità presenta dei vincoli, ma esattamente come prima. Ma ora non mi pesano, fanno ‘semplicemente’ parte della mia vita. Ho dei ‘doveri quotidiani’, ma li vivo con più leggerezza.
Persino la valigia è stata un’esperienza: imparare non il “porta, porta, che non si sa mai”, ma piuttosto il ragionare e organizzare i vestiti giorno per giorno, sacchetto dopo sacchetto (o, perlomeno, questo è il promemoria per la prossima volta!).
Così come il sentirsi immediatamente parte di un gruppo.
Sono una persona che fa fatica a lasciarsi andare subito; invece, in questa occasione, ho trovato un vero e proprio Gruppo, con la G maiuscola, sia pur ognuna con le proprie diversità, naturalmente. Mi sono trovata bene con ciascuna viaggiatrice ed è una cosa che mi ha stupito tanto, complice anche l’impeccabile organizzazione e l’incredibile persona di Erika (la guida, ndr). Con i suoi discorsi, i suoi silenzi, attorno a un falò sulla riva dell’oceano, Erika ha saputo davvero leggere in ciascuna di noi, regalandoci momenti di profonda comunione, di spiritualità, di energia potente.
Nonostante la fatica, Antonia ha saputo guardare avanti. E il suo corpo ha risposto bene, ce l’ha fatta. Lei ce l’ha fatta. Nell’ultimo cammino, in particolare, ha sentito pesantezza, ma ha scelto di non fermarsi. Hanno camminato, tutte insieme e, quando sono arrivate al termine e davanti a loro si è aperta l’infinità dell’oceano, sono rimaste in religioso silenzio, per respirare e godere di quella sensazione magica. “Il richiamo dell’oceano”, l’ha chiamato.
Forse è il quel preciso istante che la sua mente ha finito di svuotarsi e si è riempita di qualcosa di nuovo. Proprio lei, che vicino al mare ci abita, è riuscita a sentire un qualcosa di totalmente diverso, un’emozione mai provata prima.
Anche se non hai bisogno di capire che cos’hai dentro, questo è un viaggio che ti potrà sempre dare qualcosa di nuovo, di rinnovato. Vedi luoghi diversi dai nostri, senti l’oceano, fai l’esperienza di dormire in tenda… È un viaggio che devi fare almeno una volta nella vita. Anzi, non è un viaggio. È un’esperienza di vita, capace di rafforzarti mente e corpo.
[Questa intervista fa parte della rubrica “Le interviste di Chiara” a cura di Chiara Monteforte]